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Uno studio italiano dimostra che un test citofluorimetrico è in grado di predire la gravità della linfoistiocitosi emofagocitica (HLH) secondaria

25/05/2022

La linfoistiocitosi emofagocitica (HLH) è una malattia caratterizzata da un’eccessiva attivazione dei macrofagi, le cellule che abitualmente eliminano le cellule infettate, ma che in questa malattia eliminano anche quelle sane. Questo porta a un’iperinfiammazione sistemica con insufficienza multiorgano. È una patologia che può essere mortale se non diagnostica e trattata per tempo.

Lo studio condotto dall’area di ricerca di Immunologia in collaborazione con quella di Oncoematologia dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma ed in pubblicazione su Blood (https://doi.org/10.1182/blood.2021013549), ha dimostrato che nel sangue dei pazienti affetti da HLH secondaria i linfociti T attivati (esprimenti i marcatori di membrana CD38, HLA-DR e CD8) sono presenti in numero nettamente superiore rispetto a quello riscontrato in pazienti con malattie autoinfiammatorie, quali i pazienti con artrite idiopatica giovanile sistemica.

I ricercatori hanno inoltre identificato una nuova sottopopolazione cellulare di linfociti T CD4dimCD8+, il cui numero elevato nel sangue predice la gravità della HLH secondaria. Più questa sottopopolazione cellulare è numerosa, più grave sarà l’esito prognostico.

I risultati dello studio hanno immediate ricadute sulla diagnosi e sulla presa in carico dei pazienti con HLH secondaria. È ora possibile con un test di laboratorio in citometria a flusso diagnosticare con grande affidabilità e in tempi molto brevi la malattia e la sua evoluzione.

Fonte: QS.